Esiodo, (VIII-VII Secolo a.C.)

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MAguSS
view post Posted on 23/11/2005, 17:18




ESIODO

Notizie Biografiche

Esiodo ('Esìodos, Hesiòdus) è la prima personalità della letteratura greca di cui possiamo ricostruire uno sfondo biografico: affiorano nella sua opera alcune allusioni, sono presenti dei ricordi e vive certe istanze che ci permettono di conoscere le origini della sua famiglia, i problemi domestici da cui era angustiato, la sua conversione da pastore a poeta, sacerdote di un'etica nuova fondata sulla giustizia e sul lavoro; non abbiamo invece elementi sicuri per stabilirne la cronologia. Che la sua opera si sia svolta tra la fine dell'VIII e la metà del VII sec. è solo un'ipotesi legata a considerazioni di ordine generale sull'emergere di una nuova classe sociale, quella dei piccoli proprietari agricoli che incominciano a far sentire la loro voce di fronte all'aristocrazia.
La famiglia di Esiodo veniva da Cuma eolica, in Asia M. Sembra che suo padre esercitasse il commercio marittimo, ma i suoi affari non andavano bene, per cui un certo giorno emigrò in Beozia e si stabilì presso il Monte Elicona, ad Ascra, "un misero villaggio gelido d'inverno, afoso d'estate, mai piacevole ad abitarci" (Opere). Esiodo aveva un fratello sfaticato e litigioso, Perse. Quando era morto il padre, nella divisione del patrimonio, Perse si era appropriato anche di una parte che non gli spettava; invano Esiodo aveva chiesto giustizia: in tribunale i giudici, corrotti, non avevano riconosciuto le sue ragioni. Il mal tolto non aveva fatto la fortuna di Perse che, ridotto in miseria, pensava di citare il fratello di nuovo di fronte ai giudici. Non sappiamo come si sia risolto il dissidio, ma lo spunto per il poemetto delle Opere è venuto a Esiodo dalla contingenza dei suoi rapporti con Perse e dalle nuove pretese di questo.
Esiodo faceva il pastore, quando un giorno mentre pascolava il suo gregge ai piedi dell'Elicona gli si rivelarono le Muse e lo trassero da un'esistenza materiale alla vita di poeta (Teogonia). Non sappiamo, ovviamente, quanto, nella rievocazione di questo incontro con le Muse, sia dato biografico, esperienza vissuta e quanto sia invece trasfigurazione poetica.
Esiodo divenne poeta, ma probabilmente non condusse la vita dell'aedo errante. Ricorda di aver partecipato ad un agone poetico a Calcide e di aver vinto un tripode che consacrò sull'Elicona alle Muse nel luogo stesso ove lo avevano avviato alla poesia, ma aggiunge che quella fu l'unica volta che attraversò il mare (Opere). Non sembra dunque che abbia viaggiato molto. Sarà stato forse un compositore di prestigio che, rispetto alle corporazioni aediche, cercava di far parte di sè stesso e viveva nella campagna vicino all'Elicona, dove si veneravano le Muse, un sistematore del patrimonio teologico, un interprete delle aspirazioni della classe media degli agricoltori.
Sappiamo da Pausania che i mitici fondatori di Ascra, Oto ed Efialte, avevano consacrato l'Elicona a tre Muse: Melete, Mneme, Aoidè (= Esercizio, Memoria, Canto). E' facile pensare che il loro culto comprendesse esecuzioni rapsodiche di epopea e di canto monodico (van Groningen). E' significativo che Esiodo ignori queste tre Dee e i culti della sua patria, e dedichi invece un ampio passo del proemio della Teogonia alla teologia della vicina Tespie che celebrava il culto delle nove Muse. Sorge un dubbio: Ascra era davvero un misero villaggio, detestabile solo per il suo clima, o l'astio di Esiodo per la sua terra era dovuto a contrasti con i nobili locali e con la corporazione che organizzava gli agoni di poesia?
 
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MAguSS
view post Posted on 23/11/2005, 18:01




Il corpus esiodeo

Dei molti poemetti che andavano sotto il nome di Esiodo, ci sono giunti la Teogonia, le Opere e i Giorni, lo Scudo di Eracle. I filologi alessandrini che fecero un vaglio critico della poesia esiodea gli attribuivano anche il Catalogo delle Donne, di cui abbiamo un buon numero di frammenti di tradizione indiretta, cioè recuperati da autori successivi che li riportano, un ampio brano di 56 versi che costituisce l'inizio dello Scudo di Eracle, e notevoli, anche se laceri, resti trovati nei papiri. Oggi si considerano di Esiodo solo la Teogonia e le Opere.

La Teogonia

Anche per Esiodo la poesia è un dono della divinità, ma nella poetica arcaica egli introduce una consapevolezza nuova, che non riguarda l'assistenza divina, e la coscienza che non sempre la poesia è veritiera.
La Teogonia (1022 versi) si apre con il ricordo di quell'incontro con le Muse, cui si è accennato. Le Muse rivelano ad Esiodo che sanno dire molte menzogne simili alla verità, ma che, quando vogliono, sanno cantare il vero. La puntualizzazione è importante, ma viene solo enunciata e non c'è sottofondo polemico: la poesia è pur sempre dono delle Muse e alle Muse, nel rievocare quell'incontro che ha cambiato la sua vita, Esiodo dedica un ampo inno, una delle sue pagine più sentite e più valide, espressione dell'esperienza mistica che ha vissuto. Concludendo questo inno, egli chiede alle Dee di cantare la stipre degli Dei e la terra. La risposta delle Muse è la Teogonia.
In origine c'era il Caos, poi la Terra (Gea). Dal Caos nacquero l'Erebo e la nera Notte; dalla Notte l'Etere e la Luce del giorno. La Terra generò il Cielo stellato (Urano), le Montagne e il Mare e, sotto l'abbraccio del Cielo, i Titani, i Ciclopi e i Giganti centimani. Per istigazione della Terra, i Titani guidati da Crono si ribellarono contro il Cielo e Crono lo evirò: l'ultima sua creatura fu Afrodite. La Notte generò le divinità della morte, il Sonno, i Sogni, le Parche, Nemesi, l'Inganno, la Vecchiaia, la Contesa. La Contesa a sua volta generò la Fatica, la Dimenticanza, la Fame, i Dolori, le Mischie, le Battaglie, le Stragi e tutta una serie di altri mali.
Seguono, nella Teogonia, la discendenza del Mare, i matrimoni dei Titani, i loro figli, vi si innesta un inno celebrativo di Ecate, viene raccontata la storia dei figli di Rea e di Crono: Crono divora i suoi figli, sapendo che verrà soppiantato da uno di loro, ma Rea salva Zeus che poi vince il padre, lo detronizza e lo costringe a restituire alla luce i figli che ha ingoiato. Il titano Prometeo, protettore dell'umanità, durante un banchetto sacrificale a cui partecipano uomini e Dèi, inganna Zeus: da una parte mette le carni migliori e le nasconde sotto la pelle del bue sacrificato, dall'altra le ossa e le ricopre di un grasso allettante. Zeus sceglie la parte più grassa e trova le ossa; poi Prometeo ruba il fuoco dal cielo per donarlo all'umanità, ma Zeus punisce gli uomini mandando loro Pandora, la prima donna, affascinante e rovinosa, e incatena Prometeo. I Titani cercano di strappare il potere agli Olimpi, ma questi dopo una lunga guerra li sconfiggono con l'aiuto dei Centimani. Dalla Terra e dal Tartaro nasce Tifeo: dalle sue spalle uscivano cento teste di serpenti, lingue nerastre dardeggiavano levando suoni paurosi; Zeus lo distrugge col fulmine e lo sprofonda nel Tartaro; gli Dèi allora fanno Zeus loro sovrano. I matrimoni di Zeus e degli Dèi, gli amori di Dee per uomini mortali e l'invito alle Muse di cantare le donne illustri chiudono la Teogonia con la preparazione al Catalogo delle Donne amate dagli Dèi.
Esiodo ci ha dato insieme una cosmogonia e una teogonia. Ci troviamo di fronte a una concezione panteistica per cui non soltanto sono considerati divinità gli Dèi della tradizione, oggetto di culto: Zeus, Era, Apollo, Ecate, ecc. ma la Terra (Gea), il Cielo (Urano), il Mare (Ponto) ecc., e ancora, le astrazioni dei fenomeni umani: morte, sonno, contesa, battaglie, vittoria, potere ecc. In linea generale possiamo dire che alla Terra risalgono tutte le divinità concrete: il Cielo, il Mare e gli Dèi veri e propri; al Caos le divinità negative e i princìpi astratti.
Come sia avvenuta l'evoluzione che ha portato dal caos al cosmo, Esiodo non spiega: il suo è un catalogo di filiazioni in cui si innestano brani di varia estensione con carattere narrativo (la nascita di Afrodite, la nascita di Zeus e la liberazione dei figli di Crono, l'inganno di Prometeo a Zeus), innodico (Ecate), epico (la titanomachia, la lotta di Zeus con Tifeo).
Non è poesia di grande levatura; possiamo far nostro il giudizio di Quintiliano: raro assurgit Hesiodus, magnaque pars eius in nominibus est occupata. L'importanza della Teogonia risiede nello sforzo di Esiodo di ordinare un patrimonio di antiche tradizioni e leggende e nella coscienza che il cosmo è frutto di una dura conquista attraverso il succedersi delle generazioni divine.
Il poemetto ci documenta la sopravvivenza di un sostrato minoico-miceneo che a sua volta derivava dalla più antica cultura dell'Asia M. Fra i testi letterari che gli Ittiti avevano accolto dalle civiltà che li avevano preceduti ce n'erano due, uno riguardava il mito di Kumarbi, l'altro era il Canto di Ullikummi, che rivelano impressionanti analogie con la Teogonia.
Certe parti della Titanomachia, il mito di Tifeo, e tutto il finale del poema con il catalogo degli eroi nati dall'amore di una Dea e di un mortale sono sicure interpolazioni di scuola esiodea.
 
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MAguSS
view post Posted on 24/11/2005, 19:30




Le Opere e i Giorni

Una lite col fratello Perse, perduta per la corruzione dei giudici, e la minaccia del fratello di ricorrere ancora al tribunale costituiscono il movente che ha indotto il poeta a raccogliere nelle Opere e i Giorni le sue convinzioni sul valore della giustizia e del lavoro per presentarle, ammonizione ed esortazione insieme, al fratello Perse. Nell'operetta però Esiodo supera il fatto personale e propone la sua visione etica della vita a quanti intendono ascoltarlo. Il torto subìto si riflette tuttavia nell'apertura del poemetto, quando dopo l'invocazione alle Muse perchè vogliano celebrare Zeus come dio di giustizia, il poeta introduce con forte rilievo il tema della contesa ("èris"). La Teogonia conosce una sola Eris, figlia della Notte, genitrice di ogni sorta di mali. Ora invece Esiodo distingue quella funesta da un'altra Eris che spinge l'uomo al lavoro: se Perse è stato vittima della prima, voglia adesso seguire la seconda che è spirito di emulazione, elemento propulsore del progresso umano.
Gli Dèi hanno nascosto all'uomo di che vivere e questi deve ritrovare il suo sostentamento giorno per giorno col lavoro, nell'osservanza della giustizia, lontano dalla prepotenza ("ùbris").
L'hybris è dannosa alla povera gente e ai potenti, è la rovina dell'uomo e la giustizia presto o tardi fa pagare il fio a chi ha peccato. Il poeta scioglie un inno alla giustizia che allontana la guerra, dona la pace, fa fiorire la città. I campi fruttano, i querceti si caricano di ghiande, gli alveari si riempiono di miele, i greggi sono appesantiti dalla lana, i figli sono simili ai padri e non devono cercare di che vivere oltremare, perchè godono di una prosperità senza fine. Di qui l'esortazione ai nobili e agli umili, e a Perse naturalmente, perchè ascoltino la voce della giustizia.
Esiodo torna quindi al tema del lavoro: con esso gli uomini trovano la ricchezza e ottengono il favore divino. Il lavoro non è vergognoso, sì invece l'ozio: il lavoro produce ricchezza e a questa si accompagnano l'aretè e la gloria. Da tutto il contesto delle Opere emerge il nuovo significato di aretè che è il prestigio di cui gode l'uomo che si è assicurato il successo economico, che ha conseguito il benessere.
Alla premessa etica segue l'insegnamento della cultura dei campi. Il poeta ha raccolto e commenta una serie di massime, di precetti, di proverbi, distribuendoli secondo l'articolazione del calendario agricolo dalla semina autunnale alla potatura primaverile, alla mietitura, alla vendemmia, fino alla nuova semina. Ai consigli sulla cultura dei campi Esiodo fa seguire quella sulla navigazione, pur avendo ben poca dimestichezza col mare. Il poeta aggiunge una serie di osservazioni di carattere diverso che vanno dalla scelta delle mogli al comportamento dell'uomo durante la giornata. Chiude il poemetto un calendario dei giorni fasti e nefasti, ispirato alla superstizione.
Nella prima parte delle Opere, quella intesa a sviluppare i princìpi fondamentali della vita umana, la giustizia e il lavoro, ci sono tre digressioni su cui occorre richiamare l'attenzione. La prima è costituita dal mito del vaso di Pandora, la seconda, connessa con la prima, riguarda la storia umana dalla mitica età dell'oro alla attuale età del ferro (a questo proposito si veda anche il topic I Cicli della Decadenza. Il Ciclo Eroico, la terza è un "àinos", cioè una favoletta a sfondo morale, sullo sparviero e sull'usignolo.
Pandora è la donna inviata come malanno agli uomini da Zeus adirato con Prometeo che gli aveva sottratto il fuoco; essa compare adorna di tutte le seduzioni: ogni Dio le aveva fatto un dono quando Efesto, per volere di Zeus, l'aveva plasmata. Viene accolta dal fratello stolto di Prometeo, Epimeteo (="il senno di poi"). Pandora solleva il coperchio di una giara: il contenuto ne va disperso. Solo la speranza rimane nel fondo, ma ormai innumerevoli mali si aggirano fra gli uomini: ne è piena la terra e ne è pieno il mare. La digressione solleva molti problemi. Per esempio, la donna è un male in se stessa o ha solo dato occasione ai mali degli uomini? La giara di cui parla il poeta, e che doveva trovarsi presso Epimeteo, era piena di beni che sono andati dispersi per cui adesso l'uomo è solo con i mali, o era piena di mali? La speranza che è rimasta nella giara è un bene o un male? Quali che siano le soluzioni che si possono tentare, quello che qui interessa è il concetto (residuo di un'antica concezione orientale della donna come caduta dell'umanità da uno stato felice) che fa di Pandora la Eva greca.
Anche il mito delle successioni delle stirpi umane presenta notevoli difficoltà esegetiche. Le stirpi elencate sono cinque: quattro derivano il loro nome da un metallo: oro, argento, bronzo, ferro. Tra la stirpe del bronzo e quella del ferro il poeta inserisce la generazione degli eroi. Dunque età dell'oro, dell'argento, del bronzo, degli eroi e infine del ferro. E' certo che la successione non è presentata come una continua, progressiva decadenza, sia perchè ogni stirpe, concluso il suo ciclo, scompare distrutta dagli Dèi e la nuova sorge per un nuovo intervento divino, e sia perchè Esiodo dice esplicitamente che la quarta stirpe, quella degli eroi, è stata migliore della terza, quella del bronzo. Del resto anche gli uomini degli inizi dell'età del ferro non si possono dire peggiori di quelli della terza stirpe: è vero che le prospettive sono terrificanti, ma per il momento ai mali si mescoleranno ancora i beni. L'uomo può ancora scegliere la sua strada, e l'esortazione di Esiodo alla giustizia e al lavoro può quindi essere accolta dagli uomini.
La favola dello sparviero che fa valere il diritto del più forte sull'usignolo stretto fra i suoi artigli è il più antico esempio di un ammaestramento morale introdotto attraverso una scena dove gli animali rappresentano gli uomini. La spiegazione della favola viene data più avanti. questa è la legge di Zeus, che gli animali si divorino, perchè non c'è fra loro giustizia, di cui invece Zeus ha fatto dono agli uomini.
Nella seconda parte del poemetto, nella successione di insegnamenti sui lavori agricoli, si aprono due quadri, uno dell'inverno e uno dell'estate. La descrizione dell'inverno, assai ampia, date le proporzioni del poema, si svolge con un vigore e un respiro più omerico che esiodeo e non manca chi la considera (anche per certi ionismi: per esempio il mese di gennaio-febbraio indicato col termine ionico di Leneo invece che con quello beotico di Bucazio) una felice interpolazione. Il quadro dell'estate, quando il cardo fiorisce, la cicala stride sugli alberi, il solleone brucia la testa e le ginocchia, il contadino si concede una giornata di riposo con un buon pranzo all'ombra del bosco, è un persuasivo invito a gustare le gioie della campagna.
Si avverte nelle Opere uno iato tra la prima parte, concentrata sul tema della giustizia e del lavoro, e la seconda, un trattatello di consuetudini agricole. Anche il tono cambia: dalle esortazioni e dagli accenti che vogliono essere solenni si passa ad una sentenziosità popolareggiante.
C'è senza dubbio nel poemetto lo sforzo di innalzare la vita quotidiana al principio etico della giustizia e di considerare il lavoro come in fondamento di una nuova aretè; ciò non toglie che la moralità esiodea abbia un forte e grave limite nel continuo, preoccupato desiderio di arricchire che costituisce il sottofondo delle Opere. Quando proclama che la metà vale più del tutto e che c'è un grande vantaggio nel vivere di malva e di asfodelo, Esiodo è preso dalla suggestione dei due proverbi: ma poi il suo insegnamento può costituire una "contraddizione" di questa sentenza.
Ma a proposito di questo, non bisogna dimenticare che il nocciolo delle Opere, il desiderio di ricchezza, riflette l'aspirazione che caratterizza la società greca di quell'epoca, dall'aristocrazia agli agricoltori agli artigiani, è una delle espressioni dello slancio innovativo che dalla metà dell'VIII secolo porta alla creazione della civiltà arcaica. Diventa allora più significativa la preoccupazione di Esiodo per il venir meno dell' "aidòs", la sua condanna dell'hybris, la sua esigenza di giustizia.
Le Opere sono un documento importante nella storia dell'etica sociale dei Greci.
 
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MAguSS
view post Posted on 27/11/2005, 16:18




Il Catalogo delle Donne

Il Catalogo delle Donne (pseudoesiodeo?) era costituito da 5 libri ed aveva anche il titolo di Eee, derivato dalla formula "è oìe", "o quale"... con cui venivano introdotte le singole eroine che ne erano, volta a volta, protagoniste. Ne abbiamo recuperato diverse centinaia di versi che ci permettono di farci un'idea dell'opera. Si tratta, come nella Teogonia, di liste genealogiche inframmezzate da scarne parti narrative. Le leggende raccolte erano soprattutto, ma non solo, beotiche o tessaliche. Era facile, data la struttura del poema, che accostava figure diverse in modo del tutto esteriore, inserire via via nuove eroine e nuove leggende; era, cioè, un'opera aperta alle interpolazioni. Lo stile è molto vicino a quello della Teogonia e anche il rilievo dato alla matrilinearità avvicina le due opere: già la Teogonia nelle sue genealogie mette in evidenza soprattutto la madre.
Un influsso del Catalogo è evidente anche nell'Odissea (vedi XI libro) nella serie di donne illustri che Odisseo vede tra le anime dei morti che ha evocato.

Lo Scudo di Eracle

Lo Scudo di Eracle, pseudoesiodeo, racconta l'uccisione del brigante Cicno, figlio di Ares, durante un duello con Eracle. Circa metà del componimento è dedicata alla descrizione dello scudo di Eracle, con un quadro creato in concorrenza con quello iliadico dello scudo di Achille (vedi XVIII libro dell'Iliade). Si tratta di una breve epica, probabilmente tebana, il cui poeta si vuole innestare nel Catalogo esiodeo introducendo il suo tema con i 56 versi che le Eee dedicavano ad Alcmena, la madre di Eracle. Al colore esiodeo aggiunge un gusto personale per ciò che è orrido, terrificante, macabro. Alcuni indizi di carattere storico ci inducono a postularne la composizione all'inizio del VI secolo, verso il 590.
Degli altri poemetti pseudoesiodei abbiamo scarse notizie. Una Divinazione con gli Uccelli si innestava nella conclusione delle Opere e i Giorni, e un'Astronomia, di carattere astrologico, nella Divinazione. Si possono ricordare ancora la Melampodia con le avventure dell'indovino Melampo, gli Insegnamenti di Chirone sull'educazione di Achille ad opera del centauro, l'Egimo con la lotta del re dei Dori Egimo, aiutato da Eracle, contro i Lapiti.



La poesia e il linguaggio di Esiodo

Il linguaggio di Esiodo è quello tipico dell'epica con in più alcune forme peculiari eoliche e beotiche, dovute forse le une al dialetto paterno e le altre all'ambiente in cui Esiodo era cresciuto. Più problematica è la spiegazione degli accusativi plurali della I declinazione in -as che si alternano con quelli in -às. La forma breve (la prima) è caratteristica di alcuni dialetti dorici. Un certo numero di atticismi è quasi certamente dovuto alla tradizione manoscritta in cui Atene ebbe notevole parte.
 
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