| I Poeti del Ciclo Epico e i Rapsodi
La tradizione ricorda altre opere ed altri autori di poesia epica. Non si può dire che siano tutti esistiti; può anche darsi, anzi è probabile, che alcuni dei poeti a cui sono stati ascritti i poemi del Ciclo siano solo dei nomi fittizi, ma il fatto che vengano indicati come di Mileto (Arctino), di Mitilene (Lesche), di Naupatto (Carcino), di Corinto (Eumelo), di Trezene (Agia), di Teo (Antimaco), di Samo (Creofilo), di Sparta stessa (Cinetone) è un'implicita testimonianza dell'ampiezza dell'area (non soltanto ionica) in cui era coltivata la poesia epica. Le magre ed incerte notizie degli antichi tendono ad attribuire, in genere, una notevole antichità ai poemi del Ciclo, ma quando troviamo che Arctino era discepolo di Omero, Stasino ne era il genero, Creofilo gli dava ospitalità; quando vediamo che erano attribuiti ad Omero i Cipria, la Tebaide, gli Epigoni, la Presa di Ecalia si può dedurre che forse si trattava di poemi di imitazione. Potremmo dire che questi imitatori dei poemi omerici erano dei rapsodi, anche se la parola rapsodo, come indica la sua fonetica (rapsodòs), sembra essere nata nell'ambiente attico del VI secolo. Il termine, che deriva da "ràpto + aoidòs", il "poeta che cuce", ha ovviamente un significato traslato. Quando in un frammento pseudoesiodeo che ricorda un leggendario agone a Delo in onore di Apollo leggiamo che i due poeti gareggiarono "en nearòis ùmnois ràpsantes aoidèn", "cucendo il canto in nuovi inni", questa espressione che, tradotta così alla lettera può sembrare strana, allude in realtà ad un certo tipo di attività creativa: la "aoidè", che qui va intesa nell'accezione di poesia epica, patrimonio tradizionale a cui attingere, veniva cucita in nuovi inni, cioè parole, locuzioni, formule proprie del genere epico venivano assunte e tessute insieme per comporre l'inno celebrativo di Apollo. Questa è proprio una delle caratteristiche del componimento epico, ma quella che era stata poesia di rigoglioso vigore nella sua stagione matura aveva poi lasciato il posto ad opere di imitazione in cui l'aedo sfruttava, spesso senza rilievo, il ricco materiale di cui poteva disporre. Nella sua prima formulazione, la parola rapsodo aveva forse una punta di spregio per quei poeti che si attardavano su formule e moduli ormai superati, ma subito, anche per l'esaurirsi della vena epica, venne trasferita al semplice recitatore della grande poesia del passato.
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